14 Che dice la Scrittura? (Romani 4:3)

Manlio-
00mercoledì 20 aprile 2011 19:27
Differenza tra l’uomo e la bestia

«Infatti, la sorte dei figli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre tocca la stessa sorte; come muore l’uno, così muore l’altra; hanno tutti un medesimo soffio, e l’uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia; poiché tutto è vanità. Tutti vanno in un medesimo luogo; tutti vengono dalla polvere, e tutti ritornano alla polvere. Chi sa se il soffio dell’uomo sale in alto, e se il soffio della bestia scende in basso nella terra?» Ecclesiaste 3:19-21

— Come bisogna capire il passo dell’Ecclesiaste che sembra abbassare l’uomo al livello della bestia?

Il libro dell’Ecclesiaste si occupa di ciò che esiste «sotto il sole», secondo l’espressione ripetuta molte volte nel testo. Il suo scopo era quello di scoprire, tramite l’osservazione e l’esperienza, in cosa consiste la felicità e come si può gioire sulla terra.

Il predicatore, che non è altro che il re Salomone, possedeva tutto ciò che era necessario per fare delle ricerche in questa direzione e per trarre le giuste conclusioni. Aveva moltissime occasioni per provare ogni cosa ed era la persona più dotata al mondo di intelligenza e di saggezza. Non dobbiamo aspettarci di trovare in questo libro una rivelazione divina riguardo allo stato dell’uomo e al suo destino; tuttavia la coscienza non è affatto ignorata, e neppure il fatto supremo —che sempre esercita la coscienza —che «Dio giudicherà il giusto e l’empio poiché c’è un tempo per il giudizio di qualsiasi azione e, nel luogo fissato, sarà giudicata ogni opera» (Ecclesiaste 3:17) e «Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male.» (Ecclesiaste 12:16). Con questa seconda dichiarazione termina il libro dell’Ecclesiaste.

La conclusione che caratterizza il libro dall’inizio alla fine è: «vanità delle vanità, tutto è vanità». Gli avvenimenti terrestri sono considerati solo dal punto di vista degli uomini e delle cose che essi ricercano, in particolare la felicità umana e terrestre. Con tutti i suoi sforzi e la sua perseveranza, l’uomo non riuscirà mai a raggiungere questo scopo; inoltre egli non riuscirà mai ad avere potere sul suo spirito, a condizionarlo e ad impedire che la morte avvenga quando è arrivato per lui il momento di morire. Non esiste una tregua in questa guerra: «Non c’è uomo che abbia potere sul vento per poterlo trattenere, o che abbia potere sul giorno della morte; non c’è congedo in tempo di guerra, e l’iniquità non può salvare chi la commette» (Ecclesiaste 8:8).

In presenza della morte, l’uomo, per intelligente che sia, ha potere quanto ce l’ha una qualsiasi bestia: «Il riscatto dell’anima sua è troppo alto, e il denaro sarà sempre insufficiente, perché essa viva in eterno ed eviti di veder la tomba. Infatti la vedrà: i sapienti muoiono; lo stolto e l’ignorante periscono tutti e lasciano ad altri le loro ricchezze. Pensano che le loro case dureranno per sempre e che le loro abitazioni siano eterne; perciò danno i loro nomi alle terre. Ma anche tenuto in grande onore, l’uomo non dura; egli è simile alle bestie che periscono» (Salmi 49:8-13). C’è una cosa triste da dire ma che non può essere taciuta, che l’uomo lasciato a se stesso, senza l’aiuto di una rivelazione divina, non sa cosa gli accadrà dopo la morte. Il sentimento della responsabilità o la coscienza gli conferma che tutto è finito, perché Dio condurrà tutto in giudizio; ma non riesce ad indovinare con la sua intelligenza quale sarà il suo futuro. Le elucubrazioni dei filosofi di tutti i tempi provano questa realtà.

Ma il predicatore non ha voluto, e non ha potuto, chiudere il suo libro senza dipingere un quadro splendido del deperimento del corpo umano; lo termina con queste parole: «...la polvere torna alla terra com’era prima, e lo spirito torna a Dio che l’ha dato» (12:9). Questa è una rivelazione dall’alto e siamo certi che è Dio ad avergliela ispirata: «L’Eterno Dio formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un essere vivente» (Genesi 2:7). Ecco il segreto della differenza tra l’uomo e gli animali. Il soffio dell’alito vitale ricevuto da Dio non può essere annientato. L’uomo ha un’esistenza eterna ed è responsabile verso Dio, il suo Creatore.

Nelle Scritture, l’espressione «essere vivente» o «anima vivente» viene applicata talvolta anche agli animali (Genesi 1:20, 24, ecc...). Perciò non dobbiamo insistere sulla modificazione di significato di questa espressione o sulla sua applicazione. Per cogliere la differenza tra l’uomo e gli animali, non dobbiamo rimanere alle apparenze esteriori. Esse ci farebbero credere che lo stesso coltello che uccide un animale, toglie la vita ad un uomo allo stesso modo. Se ci fermiamo alle apparenze, limitando il nostro pensiero a ciò che appare «sotto il sole», arriveremo alla conclusione che l’uomo è solo una bestia.

Da soli, non possiamo dimostrare che lo spirito dell’uomo sale in alto o che lo Spirito dell’animale scende in basso nella terra: «Chi sa se il soffio dell’uomo sale in alto, e se il soffio della bestia scende in basso nella terra?» Ma la rivelazione divina ci insegna che gli animali sono diventati degli «esseri viventi» solo grazie alla Parola creatrice che li ha chiamati all’esistenza. Per loro non era necessario un ulteriore intervento divino, mentre l’uomo ha avuto bisogno che Dio gli soffiasse nelle narici un alito vitale. Dopo esser stato «formato» dalla polvere della terra è stato animato dal soffio di Dio. Questo spiega l’affermazione di Ecclesiaste 12:9 «...lo spirito torna a Dio che l’ha dato». Da questo soffio divino, ricevuto in Eden, dipende tutta l’esistenza eterna dell’uomo e la sua responsabilità.

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