Riflessione
MI È STATA MESSA UNA SPINA NELLA CARNE
Romano Martinelli
Un cardinale, un vescovo, un monaco, un religioso, una consacrata, una suora di clausura, alcuni presbiteri ci propongono riflessioni ed esperienze che possono nutrire il coraggio nell'affrontare le complesse sfide della vita e della vocazione personale. Voci diverse e insieme complementari, talvolta venate di tratti autobiografici, offrono una meditata testimonianza sull'importanza e la fruttuosità del riconoscere e valorizzare le stagioni della propria e altrui debolezza. L'interpretazione nasce dal loro sguardo di discepoli, illuminato dalla luce della Parola. Nell'insieme affiora una stimolante pedagogia della speranza.
Si può dire che ognuno di questi contributi, a più voci, siano provocazioni sulla speranza cristiana, oggi virtù urgente, desiderata. Ma, è bene dirlo con franchezza, è più facile "chiacchierare" sulla speranza che coltivarla con intelligenza. In effetti è una virtù difficile. A confronto delle incalzanti necessità attuali si ragiona ancora troppo poco sulle strategie necessarie a contrastare le forme di mistificazione, di disperazione o la fuga dal reale. Ancora meno si progetta in termini di pedagogia sulle virtù cristiane e umane. Auspichiamo che la nostra Chiesa alimenti sempre un laboratorio ecclesiale ove lo Spirito apra nuovi cammini per uomini e donne testimoni della speranza.
Poiché è virtù ardua, occorre comunicarsi parole vere e fatti non mistificanti: insieme devono aiutare ad affrontare il futuro con una strategia fatta di piccoli passi e di quel coraggio che nasca da una fede perseverante. Il percorso, che si intravede in questi contributi, nasce da incontri con la debolezza, propria e altrui, in esperienze di fragilità, di fatica, quando appunto la speranza è più provata; allora il comunicare è ancora più fruttuoso, fecondo. Condividere esperienze e riflessioni diventa un dono prezioso per tutti: si assapora la forza del Vangelo e insieme si trasfigura la ferita della carne, per quella sorgente che sgorga dall'alto. La fragilità da luogo insidioso di tentazione può divenire inopinatamente terra di comunione con Dio e i fratelli. Occorre però, alla luce del Vangelo, riconoscerne la positività, perché divenga risorsa per sé e per gli altri.
Così Paolo vive la sua debolezza. L'apostolo, nel suo "vanto da insensato", coglie la grande opportunità in un momento difficile della sua esistenza: capovolge il giudizio su la spina nella carne in termini di positività (II Cor 12, 7). «Certo sembra che questo ostacolo evocato da Paolo rientri a far parte delle "debolezze" di cui egli si vanta (v. 9d) e addirittura si compiace (v. 10a). Tuttavia quando l'apostolo parla di astheneia, non intende mai riferirsi al peccato... Di solito designa una "debolezza" non tanto di ordine psicofisico, quanto piuttosto di ordine spirituale... ed interpreta la sua debolezza come lo "spazio" apostolico privilegiato in cui lasciar manifestare il mistero pasquale di Cristo (II Cor 4, 10-12)». (1) Anzi: è ciò di cui più si vanta, andando oltre i contrasti con i falsi apostoli, i patimenti apostolici, le visioni e i rapimenti nel Signore. Nella sua debolezza si sente trasparenza della potenza di Dio. Questo solo desidera. Dunque è un segreto per l'annunciatore. L'irraggiamento della sua Presenza è contagioso solo quando il discepolo assume positivamente la sua storia di povertà, di limite, di mendicità (Gerson).